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LA SICUREZZA SUL LAVORO IN EPOCA DI CRISI COSTANTI

Maggio 13, 2022/0 Commenti/in Legislazione Sicurezza, Life 81, Prevenzione, Rischio, RSPP, Salute e Sicurezza /da Life 81

Sicurezza sul lavoro e crisi

La guerra che sta sconvolgendo l’Ucraina e l’Europa, sta avendo drammatiche conseguenze umanitarie, sociali ed economiche. Il mondo non si è ancora ripreso dalla crisi economico-finanziaria del 2008 e dalla pandemia mondiale, che ecco affacciarsene un’altra, questa volta geopolitica e umanitaria. L’inizio del XXI secolo, verrà ricordato come un periodo di crisi costanti. Il quadro attuale induce a fare alcune considerazioni sull’impatto che la guerra avrà sull’ economica, ma anche sulle politiche sociali che, non dimentichiamolo, sono il frutto di battaglie e conquiste iniziate alla fine del 1800 e costate il sacrificio di alcune generazioni. Per questo è giusto chiedersi se non rischiamo di fare passi indietro rispetto a importanti conquiste sociali, come quelle in materia di salute e sicurezza dei lavoratori oggetto della nostra analisi, di cui si gettarono i fondamenti giuridici più di un secolo fa.

Per le piccole e medie imprese, la sicurezza dei lavoratori costituisce uno sforzo anche economico che non deve essere visto solo dal punto di vista dei costi diretti legati alla prevenzione, ma anche di quelli indiretti legati al tempo, che questo tipo di azienda deve dirottare dai quotidiani compiti di produzione e gestione alla formazione in aula o sul campo.

Il problema è particolarmente importante per le nostre microimprese (meno di 10 lavoratori), le piccole (da 10 a 50 lavoratori) e le medie (da 5 a 250 lavoratori). Queste categorie rappresentano il 95% circa delle nostre imprese, ma solo poco più dell’1,5% è appresentato dalle medie.

Nonostante ciò, raramente la piccola impresa è stata al centro del discorso giurisprudenziale italiano sul lavoro e dei disegni di riforma della regolazione del lavoro.

La maggioranza di esse non attua adeguate misure in materia di salute e sicurezza sul lavoro, come risulta dallo studio condotto dall’European Agency for Safety and Health at Work, da cui emerge che gli infortuni sul lavoro nelle piccole imprese rappresentano l’82% di tutti gli infortuni sul lavoro ed il 90% di tutti gli incidenti mortali. Anche la più recente “Seconda indagine europea tra le imprese sui rischi nuovi ed emergenti (ESENER-2)” mostra che i lavoratori delle piccole imprese sono soggetti a maggiori rischi e le difficoltà nella gestione della salute e sicurezza è tanto più rilevante quanto più è ridotta la dimensione dell’impresa.

Ci sono diverse ragioni che espongono le piccole imprese ai rischi derivanti dalle attività lavorative. Vediamone qualcuna.

Prima ragione

Queste imprese sono condizionate dalle scarse risorse economiche che spesso inducono a ridurre le spese legate all’attività di prevenzione.

I costi della prevenzione consistono non solo nelle spese vive per la messa in sicurezza dei macchinari e degli ambienti di lavoro, ma anche nel personale qualificato (spesso consulenti esterni all’organico aziendale), senza contare il costo indiretto derivante dal tempo tolto alla produzione per impegnare il personale nella formazione obbligatoria.

Gli studi mostrano che la spesa per la prevenzione degli infortuni si traduce, in un’ottica a più lungo termine, in un risparmio per la stessa impresa, ma tale aspetto non viene solitamente preso in considerazione soprattutto dalle realtà di minori dimensioni.

Seconda ragione

Carenza di cultura delle regole e quindi anche di cultura della sicurezza e della prevenzione. La mentalità frequente nelle piccole realtà imprenditoriali (ribadiamolo non sempre e non dappertutto) è quella di considerare la valutazione dei rischi e la formazione in materia di sicurezza come un mero adempimento burocratico. Nei lavoratori spesso manca una percezione del rischio aderente alla realtà, ma anche gli stessi datori di lavoro non pretendono sempre dai propri dipendenti il rispetto pedissequo delle norme di sicurezza.

Terza ragione

Scarsa presenza nelle piccole imprese di quelle particolari figure aziendali costituite dai Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) “effettivi”. Proprio nelle piccole realtà, infatti, c’è l’abitudine di nominare il RLS ad opera non dei lavoratori come prevede il D.Lgs. n. 81/2008 (all’art. 47, comma 3), ma da parte del datore di lavoro. Questo rischia di rendere inefficaci gli interessi specifici per cui è stata prevista tale figura.

Paradossalmente la figura del RLS diventa tanto più importante tanto più è piccola l’azienda, visto che la riunione periodica – in cui le persone coinvolte nella sicurezza si riuniscono e si confrontano sui fattori di rischio e sull’elaborazione del DVR (Documento di Valutazione dei Rischi) –  avviene una volta l’anno solo nelle imprese da 15 dipendenti in su, in esecuzione diretta di una norma o in occasione di eventuali importanti variazioni delle condizioni di esposizione al rischio che hanno riflessi sulla sicurezza e la salute dei lavoratori.  Nelle realtà di dimensioni inferiori, la convocazione della riunione è rimessa alla “facoltà”(quindi alla buona volontà) proprio del RLS e questo aumenta i rischi.

Non dimentichiamo che questa figura aziendale è  praticamente il sensore interno di eventuali carenze degli apparati di prevenzione e sicurezza e a livello microeconomico un’ emanazione giuridica delle istituzioni preposte alla sorveglianza della sicurezza sul lavoro. Ancora una volta invece, l’obbligo viene interpretato più come un vulnus suscettibile di ostacolare la macchina operativa e organizzativa dell’impresa, che come elemento di prevenzione di incidenti che possono in definitiva costare assai caro in termini di incolumità fisica e danni economici. Alla lunga, è ormai dimostrato che i costi in termini di vite umane e di infortuni e le loro ripercussioni economiche sulle famiglie, l’impresa e lo stato, sono assai più alti di quelli che si sarebbero affrontati per la prevenzione.

Quarta ragione

Complessità del quadro normativo (costituito da 13 Titoli e 51 Allegati) che rende la normativa di difficile interpretazione ed applicazione soprattutto per le realtà più piccole che difficilmente dispongono di personale esperto e specializzato in grado di individuare, nel complesso corpus normativo, le norme riferibili alla propria realtà produttiva e di tradurne i precetti astratti in adempimenti pratici.

La semplificazione delle norme potrebbe apparire solo a prima vista come una soluzione, perché ogni semplificazione in materia di salute e sicurezza rischia di produrre anche una riduzione delle tutele, specie ove intervenga nella delicata quanto centrale attività di valutazione dei rischi. Per questo in dottrina si sono giustamente sollevate non poche critiche nei confronti di tali semplificazioni, soprattutto, ove prevedevano originariamente l’autocertificazione (possibilità che, non a caso, ha determinato l’apertura a carico dell’Italia di una procedura di infrazione della commissione europea) e laddove tutt’ora prevede (a seguito delle modifiche intervenute con il c.d. “Decreto del fare”, DL 69 del 21 giugno 2013, convertito con modificazioni nella Legge 9 agosto 2013, n. 98) il rischio di uno strisciante ritorno all’autocertificazione per le attività a basso rischio infortunistico.

Conclusione

Queste considerazioni sono tutt’altro che astratte se ricordiamo che nel solo primo bimestre del 2022, c’è stato un incremento degli infortuni di + 47,6% rispetto allo stesso periodo del 2022, cioè 121.994 contro 82.634 e +9,6% di morti, 114 contro 104. Sono cifre spaventose se vengono guardate in termini di media giornaliera. Per i decessi significa praticamente 2 morti al giorno con picchi addirittura superiori. Pensiamo che venerdì 15 aprile 2022 ci sono stati quattro morti in poche ore in tutta Italia. In quella giornata nera, è emersa l’estrema eterogeneità anagrafica delle vittime che andavano da 23 ai 60 anni.

Nel 2020, in piena emergenza Covid e lock-down, ci fu una netta riduzione degli infortuni rispetto al periodo antecedente allo scoppio della pandemia per la forte riduzione in presenza dei lavoratori e di alcune attività produttive. Nel 2022 i numeri, come detto, sono tornati prepotentemente a crescere per il ritorno a livelli di interscambio sociale e produttivo simili a quelli precedenti.

E’ quindi fondamentale che le crisi politiche economiche e sociali che negli ultimi anni si susseguono a ritmi sconcertanti, e con le quali sembra ci si debba abituare a convivere, non abbiano un impatto ulteriore sulle questioni legate alla sicurezza del lavoro e sugli investimenti necessari per la diffusione degli strumenti di prevenzione.

Fonti:

Life 81; repertoriosalute.it; Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro

https://life81.it/wp-content/uploads/2022/05/Crisi-e-sicurezza-sul-lavoro.jpg 1357 1920 Life 81 https://life81.it/wp-content/uploads/2021/12/LOGO-life-81-1920x-1080-300x158.jpg Life 812022-05-13 13:28:092022-05-17 14:07:43LA SICUREZZA SUL LAVORO IN EPOCA DI CRISI COSTANTI

Documenti di valutazione dei rischi: quali sono le carenze rilevate?

Gennaio 8, 2020/0 Commenti/in Puntosicuro, Rischio /da Life 81

Autore: Redazione Puntosicuro
Categoria: Valutazione dei rischi08/01/2020: Un intervento si sofferma sulle carenze rilevate in sede di controllo riguardo alla valutazione dei rischi. L’evoluzione della normativa, i dati sui controlli effettuati e alcuni esempi di documenti di valutazione lacunosi. 

Milano, 8 Gen – Se la valutazione dei rischi dovrebbe essere una delle colonne portanti dell’intero sistema di prevenzione, in grado di orientarlo e promuoverlo nei luoghi di lavoro, spesso si assiste, nella prassi, a documenti di valutazione dei rischi (DVR) che non rispondono a queste funzioni. Tanto che “ormai si trovano sul web società che confezionano DVR senza fare sopralluoghi a prezzi stracciati”.

A ricordarlo è stato l’incontro “Documenti di valutazione del rischio e prevenzione: criticità e opportunità” che, organizzato dalla Fondazione IRCCS Cà Granda, si è tenuto a Milano il 5 aprile 2019.  Incontro in cui è stato possibile anche evidenziare le carenze e le difficoltà che incontrano le imprese nel processo di valutazione, con riferimento ai risultati delle attività di controllo e l’auspicio di idonei strumenti di supporto.

Per parlarne ci soffermiamo oggi sull’intervento “Dati dall’osservazione delle ATS”, a cura di Graziella Zanoni (TdP – ATS Città Metropolitana di Milano).

Questi gli argomenti affrontati nell’articolo:

  • La valutazione dei rischi e l’alba della prevenzione
  • I dati sui controlli in materia di valutazione
  • Le carenze rilevate durante i controlli

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La valutazione dei rischi e l’alba della prevenzione

Nell’intervento si racconta innanzitutto la cosiddetta “alba della prevenzione” sia con riferimento all’avvicendamento di “denominazioni istituzionali e conseguente riconfigurazione delle strutture deputate alla ‘governance’ del settore della Prevenzione a partire dal 1882”, sia con riferimento all’evoluzione delle norme di tutela sanitaria dei lavoratori con riferimento specifico alla valutazione dei rischi.

Si ricorda a questo proposito che procedure inerenti la valutazione dei rischi erano già previste indirettamente dall’art.41 della Costituzione che stabilisce che “l’iniziativa economica è libera ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo di recar danno alla sicurezza”. Fatto questo “che impone, conseguentemente, la valutazione proprio di quali siano le condizioni ipotetiche di pericolo con le lavorazioni”.

Poi interviene ancor più chiaramente, l’ art 2087 del cc il quale prevede che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.  Obblighi piuttosto generici e verificati “solo in caso di infortuni o tecnopatie”.

Si ricordano poi le norme di sicurezza, “innovate con i DPR 547/55 e DPR 303/56, con una serie di disposizioni più organiche e che resteranno poi in vigore per 50 anni divenendo il ‘nucleo’ di tutta la legislazione prevenzionistica di fine secolo”. Norme che “non sono servite a limitare sensibilmente l’effetto di alcuni rischi e della carenza di sicurezza nei luoghi di lavoro”. Le norme ribadivano che i dirigenti e preposti, ciascuno nell’ambito delle rispettive competenze, “avrebbero dovuto rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui erano esposti”. Ma come?

Si accenna poi alla legge 833/1978, la Riforma Sanitaria, che ha previsto lo svolgimento da parte delle Unità Sanitarie Locali di varie attività di prevenzione, al D.Lgs 277/91 e ancor più al successivo D.Lgs 626/94 che permette di passare “ad una sorta di ‘autocontrollo’ di prevenzione”.

Ora il termine “valutazione” ricorre in diversi articoli e commi del decreto 626 “a testimonianza dell’interesse del Legislatore per questa innovativa procedura. Interesse poi dimostrato solo dopo diversi anni a partire dal 1997 anche con la creazione di una nuova professione sanitaria, quella dei Tecnici della Prevenzione dell’ambiente e dei luoghi di lavoro, con l’emanazione di norme sulle loro specifiche competenze”.

Si arriva poi al Decreto Legislativo 81/2008 dove l’art. 2 del definisce la “valutazione dei rischi”, come una “valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza”.

E si conclude ricordando la Legge Regionale n.23 del 2015 con cui sono state istituite in Lombardia le Agenzie di Tutela della Salute (ATS) che “mantengono le funzioni di Prevenzione e controllo della salute negli ambienti di vita e di lavoro, compreso il controllo periodico impiantistico e tecnologico”.

I dati sui controlli in materia di valutazione

L’intervento fornisce poi molti dati sui controlli della tutela della salute nei luoghi di lavoro.

Riguardo poi agli esiti dei controlli e delle violazioni in merito alla valutazione dei rischi e al Titolo I, Titolo IV e gli altri Titoli del D.Lgs. 81/2008, riprendiamo una slide dell’intervento:

Rimandiamo alla lettura integrale delle slide dell’intervento che riportano molti altri dati relativi ai controlli effettuati.

Le carenze rilevate durante i controlli

La relatrice riporta poi alcuni utili esempi di carenze ed errori con riferimento a quanto indicato e richiesto dal D.Lgs. 81/2008.

Ne riportiamo alcuni.

In un caso si indica, ad esempio, che la documentazione acquisita e redatta dal datore di lavoro “non risponde in modo esaustivo all’individuazione di tutti i rischi a cui i lavoratori sono esposti durante l”esercizio delle proprie attività di ed in particolare la movimentazione manuale di carichi nelle fasi di magazzinaggio e controllo qualità/maturazione, i movimenti ripetitivi nelle fasi di confezionamento. Inoltre il documento redatto dal Datore di Lavoro non riporta:

  1. i criteri adottati per la valutazione stessa
  2. l’individuazione delle misure di prevenzione e protezione individuate, per la sicurezza e la salute dei lavoratori stessi
  3. il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza;
  4. le procedure per l”attuazione delle misure da realizzare, nonché i ruoli dell”organizzazione aziendale che vi debbono provvedere
  5. il nominativo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio
  6. i nominativi degli addetti alla gestione emergenze-primo soccorso”.

In un altro caso si indica che la valutazione dei rischi redatta dal datore di lavoro “non risulta esaustiva di tutte le informazioni utili a definire, il processo destinato all’esercizio dell’attività lavorativa, costituendo così un documento insufficiente nella individuazione dei rischi per la sicurezza e la salute a cui tutti i lavoratori, facenti parte dell’organizzazione aziendale e potenzialmente esposti, ed in particolare:

  • rischio biologico: Tenuto conto di tutte le informazioni relative alle caratteristiche dell’agente biologico che presentano o possono presentare un rischio per la salute di tutti i lavoratori, nell’ambito della propria mansione, non ha provveduto a valutare in modo congruo:
    • fasi di procedimento lavorativo che comportano il rischio di esposizione;
    • i metodi e le procedure lavorative da adottare, nonché le misure di prevenzione e protettive da applicare;
  • rischio chimico: Determinata la presenza di agenti chimici pericolosi sul luogo di lavoro ed in particolare di quanto accertato in sede di sopralluogo (azoto liquido), il datore di lavoro non ha provveduto a valutare in modo congruo i rischi per la sicurezza e la salute derivanti dalla presenza di tali agenti ed in particolare:
    • le loro proprietà pericolose;
    • le informazioni sulla salute e sicurezza comunicate dal responsabile dell”immissione sul mercato tramite la relativa scheda di sicurezza;
    • il livello, il modo e la durata della esposizione;
    • le circostanze in cui viene svolto il lavoro in presenza di tali agenti tenuto conto della quantità delle sostanze e dei preparati che li contengono o li possono generare;
    • i valori limite di esposizione professionale o i valori limite biologici;
    • gli effetti delle misure preventive e protettive adottate o da adottare;
    • se disponibili, le conclusioni tratte da eventuali azioni di sorveglianza sanitaria già intraprese”.

In conclusione l’intervento in relazione alla prosecuzione delle attività di controllo dei DVR sottolinea che non bisogna dimenticare l’obiettivo di “promuovere e orientare l’evoluzione del sistema prevenzionistico”. E fa riferimento all’implementazione delle “attività di promozione di un approccio di tipo proattivo, orientato al supporto al mondo del lavoro attraverso i Piani Mirati di Prevenzione” e all’ausilio di “strumenti operativi per la lettura dei DVR”.    

RTM

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Puntosicuro.it-Il datore di lavoro deve verificare adeguatezza e completezza del DVR

Dicembre 12, 2019/0 Commenti/in Formazione, Legislazione Sicurezza, Prevenzione, Puntosicuro, Rischio, RSPP /da Life 81
Fonnte Articolo : Puntosicuro.it
Autore: Anna Guardavilla
Categoria: Sentenze commentate

12/12/2019: Il “passivo affidamento al DVR” elaborato da terzi non libera il datore di lavoro dall’obbligo di verificarne la completezza “onde poter segnalare al professionista le necessarie integrazioni”: le sentenze di Cassazione Penale.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, pronunciandosi sul caso Thyssenkrupp (Cassazione Penale, Sez.Un., 18 settembre 2014 n.38343), hanno chiarito che il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, quale “peculiare figura istituzionale del sistema prevenzionistico […], insieme al medico competente, svolge un importante ruolo di collaborazione con il datore di lavoro”.

 

In particolare, l’RSPP “svolge una delicata funzione di supporto informativo, valutativo e programmatico ma è priva di autonomia decisionale: essa, tuttavia coopera in un contesto che vede coinvolti diversi soggetti, con distinti ruoli e competenze. In breve, un lavoro in équipe.”

 

In tal senso, il ruolo svolto dai componenti del SPP “è parte inscindibile di una procedura complessa che sfocia nelle scelte operative sulla sicurezza compiute dal datore di lavoro. La loro attività può ben rilevare ai fini della spiegazione causale dell’evento illecito. Si pensi al caso del SPP che manchi di informare il datore di lavoro di un rischio la cui conoscenza derivi da competenze specialistiche.”

 

Diversamente, si “rischierebbe di far gravare sul datore di lavoro una responsabilità che esula dalla sfera della sua competenza tecnico-scientifica.”

 

Così premessa e definita l’area di competenza dell’RSPP in relazione a quello che la giurisprudenza identifica ripetutamente come il perimetro delle “competenze specialistiche” attribuite dalla legge a tale soggetto, la Suprema Corte ( Cassazione Penale, Sez.IV, 23 gennaio 2017 n.3313) non manca dall’altra parte di sottolineare che, come noto, “il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l’obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art.28 del D.Lgs.n.81 del 2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori”.

Una sentenza dell’anno scorso (Cassazione Penale, Sez.IV, 20 luglio 2018 n.34311) poi, ricorda che “il contenuto di tale documento è chiaramente definito dall’art.2 lett.q) del citato d.lgs., laddove parla di “valutazione globale di tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestando la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza”.”

 

E aggiunge un elemento essenziale ai fini della concreta ricostruzione delle prerogative del datore di lavoro e dell’RSPP in relazione al DVR.

 

La Cassazione precisa infatti in tale pronuncia che, se da un lato “per la redazione di tale documento, fondamentale per lo svolgimento in sicurezza della vita lavorativa all’interno di ogni azienda, il datore di lavoro può avvalersi della collaborazione di un professionista, prevedendo la legge la consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione”, tuttavia l’ausilio che tale soggetto presta  per la “redazione di suddetto documento non esonera il datore di lavoro dall’obbligo di verificarne l’adeguatezza e l’efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata (Sez.4, n.27295 del 2/11/2016, Rv.270355), con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni (Sez.4, n.22147 del 11/2/2016, Rv.266859).”

 

Nel caso di specie trattato dalla pronuncia, in cui erano presenti “carenze evidenti del DVR”, la Corte sottolinea che dato il “carattere non delegabile dell’obbligo di valutazione dei rischi inerenti l’attività aziendale gravante sul G.G. [datore di lavoro, n.d.r.], i giudici di appello hanno ritenuto, con motivazione corretta in diritto ed immune da censure, che la collaborazione prestata dal responsabile del servizio di protezione e prevenzione nello svolgimento di tale attività e nell’individuazione delle misure atte a fronteggiare i rischi presenti in azienda, non esimeva il datore di lavoro dal sottoporre il documento redatto dal professionista ad una approfondita analisi critica e verifica circa la concreta individuazione e indicazione della evidenziata situazione di palese rischio e delle misure precauzionali atte a fronteggiarlo. […]

Di qui la colposa condotta omissiva del datore di lavoro, il quale, a fronte di un DVR così inidoneo a consentire in sicurezza il lavoro cui era addetto il C.P. [lavoratore, n.d.r.], non ha svolto alcun doveroso controllo sul contenuto del documento, imponendone al professionista incaricato le necessarie integrazioni.”

 

In una pronuncia di qualche anno fa ( Cassazione Penale, Sez.IV, 26 maggio 2016 n.22147), “la ricorrente [datrice di lavoro, n.d.r.], proprio al fine di valutare correttamente la presenza di rischi, è ricorsa all’ausilio di una società accreditata …, la P. s.r.l., che ha sviluppato il documento, ricorrendo, quindi, ai fini dell’esonero da responsabilità, il principio dell’affidamento nell’altrui condotta.”

 

Tuttavia – precisa la Corte in ordine all’applicazione di tale principio al caso specifico – “la censura, sebbene condivisibile in diritto, non coglie nel segno avendo la Corte del merito collegato, in riferimento a quello specifico rischio, come ampiamente illustrato, la condotta della ricorrente alla causazione dell’evento.”

 

In particolare, per quanto riguarda il “dedotto principio dell’affidamento, quale esonero da responsabilità, la ricorrente dimentica che il datore di lavoro è l’unico destinatario degli obblighi prevenzionali e, quand’anche abbia delegato [commissionato, n.d.r.] ad altri la stesura del documento di valutazione dei rischi, non di meno è tenuto, nel momento della sua attuazione, a verificarne la completezza e l’efficacia, adempimento che la M.A. [datrice di lavoro, n.d.r.] non ha svolto, attesa l’evidente inadeguatezza del documento, come prima evidenziato.”

 

Il principio per cui il datore di lavoro è tenuto a verificare il contenuto del documento di valutazione dei rischi è risalente nel tempo.

 

A titolo di esempio, possiamo richiamare alla memoria una importante sentenza di quasi dieci anni fa ( Cassazione Penale, Sez.IV, 4 febbraio 2010 n.4917) che affronta tale questione in relazione al tema delle informazioni (un tema – quello delle informazioni – rispetto al quale, per una analisi giurisprudenziale più aggiornata, si veda anche il contributo “Le informazioni che l’RSPP deve acquisire “di sua iniziativa” per la VR”, pubblicato su Puntosicuro del 23 marzo 2017 n.3976).

 

Tale pronuncia aveva affermato il principio secondo cui, nel caso specifico, “il Datore di lavoro avrebbe dovuto controllare la relazione predisposta dall’ing. Pa. [RSPP] onde poter segnalare al detto professionista quelle attività del ciclo produttivo eventualmente ignorate”.

 

Ricostruiamo molto sinteticamente la vicenda di cui si è occupata la Cassazione.

 

Con questa sentenza, la Corte aveva confermato la responsabilità di un datore di lavoro (ed escluso quella del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione) per un infortunio occorso ad un lavoratore il quale, durante il turno di lavoro notturno (22,00-6,00), mentre era intento alle operazioni di pulizia all’interno di un silo contenente grano in fase di svuotamento era venutosi a trovarsi disteso sulla superficie granaria sulla quale si muoveva, e, non percependo il progressivo assorbimento del suo corpo all’interno della massa di grano, era rimasto poi completamento coperto dal grano decedendo per asfissia.

 

La Cassazione aveva precisato che “quanto alla posizione di garanzia del F. [datore di lavoro, n.d.r.] va innanzi tutto sottolineato che, per come accertato in sede di merito, l’ing. Pa. [RSPP, n.d.r.] era stato incaricato dell’individuazione dei fattori di rischio e dell’elaborazione delle misure di prevenzione e delle procedure di sicurezza.

Il detto professionista aveva predisposto una relazione nella quale però non era stata esaminata la specificità della mansione svolta dagli operai all’interno dei silos e pertanto aveva omesso ogni valutazione dei rischi collegabili alla stessa.”

 

A fronte della contestazione di tale omissione, “l’ing. Pa. [RSPP] aveva dichiarato di non essere a conoscenza di tale lavorazione: dunque, in assenza di informazioni rilevanti che avrebbero dovuto essere fornite da persone informate, “in primis” il datore di lavoro, l’ing. Pa. non aveva mai fatto riferimento, nella sua relazione, all’operazione di pulizia delle celle granarie.”

 

Pertanto “l’omessa previsione, da parte dell’ing. Pa., dei rischi correlati alle operazioni di pulizia all’interno delle celle granarie, è pienamente riconducibile al F. [datore di lavoro, n.d.r.] il quale era perfettamente a conoscenza delle caratteristiche del luogo, del tempo e delle più rilevanti circostanze concernenti lo svolgimento del lavoro di pulizia all’interno dei silos, cosi come puntualmente e dettagliatamente posto in evidenza dai giudici di seconda istanza.”

 

La Cassazione aveva concluso dunque che nel caso di specie “il Datore di lavoro avrebbe dovuto controllare la relazione predisposta dall’ing. Pa. [RSPP] onde poter segnalare al detto professionista quelle attività del ciclo produttivo eventualmente ignorate (come poi in concreto si è verificato) nella valutazione dell’attività aziendale ai fini della pianificazione dei rischi.”

Pertanto “l’omissione di tale controllo vale a concretizzare un evidente profilo di colpa.”

 

Concludiamo questa breve rassegna (condotta come sempre senza pretese di esaustività) illustrando sinteticamente una più recente sentenza (Cassazione Penale, Sez.IV, 12 giugno 2017 n.29062) con cui la Suprema Corte ha confermato la responsabilità di un datore di lavoro per il reato di lesioni personali colpose “ai danni del lavoratore S.R., dipendente della detta società con qualifica di operaio addetto ai servizi generali di stabilimento, e della contravvenzione di cui all’art.28, comma 2, lett.b), D.lgs.n.81/08 per aver adottato un documento di valutazione dei rischi carente in punto di individuazione delle misure di prevenzione e protezione correlate con le operazioni svolte con il carrello elevatore nel reparto oli.”

 

In particolare il lavoratore “doveva movimentare una cisterna utilizzata per trasportare l’olio esausto proveniente dal reparto di lavorazione e destinato al reparto trattamento oli” e “aveva quindi prelevato la cisterna, del peso di circa 900/1000 kg., mediante il carrello elevatore, utilizzando le forche del mezzo e bloccandole all’altezza di circa un metro da terra per consentire il travaso dalla cisterna all’altro serbatoio; per eseguire tale operazione si era quindi posizionato davanti alla cisterna e mentre si accingeva ad avvitare il tubo corrugato al rubinetto, la cisterna era caduta improvvisamente e lo aveva travolto procurandogli fratture alla gamba sinistra.”

 

Era stato “documentalmente provato che l’operazione che stava eseguendo il S.R. non era stata presa in considerazione al fine di valutare il rischio specifico”.

 

La sentenza specifica altresì che tale “rischio specifico e la previsione degli accorgimenti tecnici idonei a neutralizzarlo non erano stati considerati nel DVR, predisposto da un’azienda specializzata del settore, e ciò perché nei dieci anni precedenti non si era mai verificato alcun inconveniente o sinistro collegato a tale operazione di travaso.”

 

Peraltro “nella evidente consapevolezza della carenza del DVR, il datore di lavoro aveva organizzato un corso di formazione “fast training”, cui il S.R. aveva partecipato, risultato però in concreto inadeguato.”

 

Rispetto al tema che ci occupa, la Cassazione conferma l’impostazione della Corte d’Appello, la quale “reputava sussistente il profilo psicologico della condotta, non potendo l’imputato essere scagionato né per le sue specifiche qualità e cariche sociali, né per il passivo affidamento al DVR elaborato da un’impresa terza, la quale aveva comunque evidenziato come “remoto” il rischio oggettivo di investimento per scivolamento della cisterna dai supporti del carrello elevatore ed aveva predisposto misure preventive palesemente inadeguate.”

 

Anna Guardavilla

Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro

 

https://life81.it/wp-content/uploads/2019/05/Blog-in-sicurezza-al-lavoro-3.png.jpg 1280 1920 Life 81 https://life81.it/wp-content/uploads/2021/12/LOGO-life-81-1920x-1080-300x158.jpg Life 812019-12-12 09:54:142019-12-13 11:06:19Puntosicuro.it-Il datore di lavoro deve verificare adeguatezza e completezza del DVR

Guida al GDPR: i diritti degli interessati

Ottobre 30, 2019/0 Commenti/in GDPR, Prevenzione, Puntosicuro, Rischio /da Life 81

Fonte: Puntosicuro

Autore: Redazione

MODALITÀ PER L‘ESERCIZIO DEI DIRITTI

Le modalità per l’esercizio di tutti i diritti da parte degli interessati sono stabilite, in via generale, negli artt. 11 e 12 del regolamento.

 

Cosa cambia? 

Il termine per la risposta all’interessato è, per tutti i diritti (compreso il diritto di accesso), 1 mese, estendibili fino a 3 mesi in casi di particolare complessità; il titolare deve comunque dare un riscontro all’interessato entro 1 mese dalla richiesta, anche in caso di diniego.

 

Spetta al titolare valutare la complessità del riscontro all’interessato e stabilire l’ammontare dell’eventuale contributo da chiedere all’interessato, ma soltanto se si tratta di richieste manifestamente infondate o eccessive (anche ripetitive) (art. 12.5), a differenza di quanto prevedono gli art. 9, comma 5, e 10, commi 7 e 8, del Codice, ovvero se sono chieste più “copie” dei dati personali nel caso del diritto di accesso (art. 15, paragrafo 3); in quest’ultimo caso il titolare deve tenere conto dei costi amministrativi sostenuti. Il riscontro all’interessato di regola deve avvenire in forma scritta anche attraverso strumenti elettronici che ne favoriscano l’accessibilità; può essere dato oralmente solo se così richiede l’interessato stesso (art. 12, paragrafo 1; si veda anche art. 15, paragrafo 3).

 

La risposta fornita all’interessato non deve essere solo “intelligibile”, ma anche concisa, trasparente e facilmente accessibile, oltre a utilizzare un linguaggio semplice e chiaro.

 

Cosa non cambia? 

Il titolare del trattamento deve agevolare l’esercizio dei diritti da parte dell’interessato, adottando ogni misura (tecnica e organizzativa) a ciò idonea. Benché sia il solo titolare a dover dare riscontro in caso di esercizio dei diritti (artt. 15-22), il responsabile è tenuto a collaborare con il titolare ai fini dell’esercizio dei diritti degli interessati (art. 28, paragrafo 3, lettera e) ).

 

L’esercizio dei diritti è, in linea di principio, gratuito per l’interessato, ma possono esservi eccezioni (si veda il paragrafo “Cosa cambia”). Il titolare ha il diritto di chiedere informazioni necessarie a identificare l’interessato, e quest’ultimo ha il dovere di fornirle, secondo modalità idonee (si vedano, in particolare, art. 11, paragrafo 2 e art. 12, paragrafo 6).

 

Sono ammesse deroghe ai diritti riconosciuti dal regolamento, ma solo sul fondamento di disposizioni normative nazionali, ai sensi dell’articolo 23 nonché di altri articoli relativi ad ambiti specifici (si vedano, in particolare, art. 17, paragrafo 3, per quanto riguarda il diritto alla cancellazione/”oblio”, art. 83 – trattamenti di natura giornalistica e art. 89 – trattamenti per finalità di ricerca scientifica o storica o di statistica).

 

Raccomandazioni 

E’ opportuno che i titolari di trattamento adottino le misure tecniche e organizzative eventualmente necessarie per favorire l’esercizio dei diritti e il riscontro alle richieste presentate dagli interessati, che – a differenza di quanto attualmente previsto – dovrà avere per impostazione predefinita forma scritta (anche elettronica). Potranno risultare utili le indicazioni fornite dal Garante nel corso degli anni con riguardo all’intelligibilità del riscontro fornito agli interessati e alla completezza del riscontro stesso [si vedano varie decisioni relative a ricorsi contenute nel Bollettino dell’Autorità pubblicato qui:  doc. web n. 766652, e più recentemente, fra molti,  doc. web n. 1449401 in materia di dati sanitari, ovvero  doc. web n. 1290018 in materia di dati telematici].

 

Quanto alla definizione eventuale di un contributo spese da parte degli interessati, che il regolamento rimette al titolare del trattamento, l’Autorità intende valutare l’opportunità di definire linee-guida specifiche (anche sul fondamento delle determinazioni assunte sul punto nel corso degli anni: si veda in particolare la  Deliberazione n. 14 del 23 dicembre 2004), di concerto con le altre autorità Ue, alla luce di quanto prevede l’Art. 70 del regolamento con riguardo ai compiti del Boar

 

DIRITTO DI ACCESSO (ART. 15) 

Cosa cambia? 

Il diritto di accesso prevede in ogni caso il diritto di ricevere una copia dei dati personali oggetto di trattamento.

 

Fra le informazioni che il titolare deve fornire non rientrano le “modalità” del trattamento, mentre occorre indicare il periodo di conservazione previsto o, se non è possibile, i criteri utilizzati per definire tale periodo, nonché le garanzie applicate in caso di trasferimento dei dati verso Paesi terzi.

 

Raccomandazioni 

Oltre al rispetto delle prescrizioni relative alla modalità di esercizio di questo e degli altri diritti (si veda “Modalità per l’esercizio dei diritti”), i titolari possono consentire agli interessati di consultare direttamente, da remoto e in modo sicuro, i propri dati personali (si veda considerando 68).

 

DIRITTO DI CANCELLAZIONE (DIRITTO ALL’OBLIO) (ART.17) 

Cosa cambia? 

Il diritto cosiddetto “all’oblio” si configura come un diritto alla cancellazione dei propri dati personali in forma rafforzata. Si prevede, infatti, l’obbligo per i titolari (se hanno “reso pubblici” i dati personali dell’interessato: ad esempio, pubblicandoli su un sito web) di informare della richiesta di cancellazione altri titolari che trattano i dati personali cancellati, compresi “qualsiasi link, copia o riproduzione” (si veda art. 17, paragrafo 2).

 

Ha un campo di applicazione più esteso di quello di cui all’art. 7, comma 3, lettera b), del Codice, poiché l’interessato ha il diritto di chiedere la cancellazione dei propri dati, per esempio, anche dopo revoca del consenso al trattamento (si veda art. 17, paragrafo 1).

 

DIRITTO DI LIMITAZIONE DEL TRATTAMENTO (ART. 18) 

Cosa cambia? 

Si tratta di un diritto diverso e più esteso rispetto al “blocco” del trattamento di cui all’art. 7, comma 3, lettera a), del Codice: in particolare, è esercitabile non solo in caso di violazione dei presupposti di liceità del trattamento (quale alternativa alla cancellazione dei dati stessi), bensì  anche se l’interessato chiede la rettifica dei dati (in attesa di tale rettifica da parte del titolare) o si oppone al loro trattamento ai sensi dell’art. 21 del regolamento (in attesa della valutazione da parte del titolare).

 

Esclusa la conservazione, ogni altro trattamento del dato di cui si chiede la limitazione è vietato a meno che ricorrano determinate circostanze (consenso dell’interessato, accertamento diritti in sede giudiziaria, tutela diritti di altra persona fisica o giuridica, interesse pubblico rilevante).

 

Raccomandazioni 

Il diritto alla limitazione prevede che il dato personale sia “contrassegnato” in attesa di determinazioni ulteriori; pertanto, è opportuno che i titolari prevedano nei propri sistemi informativi (elettronici o meno) misure idonee a tale scopo.

 

DIRITTO ALLA PORTABILITÀ DEI DATI (ART. 20) 

Cosa cambia? 

Si tratta di uno dei nuovi diritti previsti dal regolamento, anche se non è del tutto sconosciuto ai consumatori (si pensi alla portabilità del numero telefonico).

 

Non si applica ai trattamenti non automatizzati (quindi non si applica agli archivi o registri cartacei) e sono previste specifiche condizioni per il suo esercizio; in particolare, sono portabili solo i dati trattati con il consenso dell’interessato o sulla base di un contratto stipulato con l’interessato (quindi non si applica ai dati il cui trattamento si fonda sull’interesse pubblico o sull’interesse legittimo del titolare, per esempio), e solo i dati che siano stati “forniti” dall’interessato al titolare (si veda il considerando 68 per maggiori dettagli).

 

Inoltre, il titolare deve essere in grado di trasferire direttamente i dati portabili a un altro titolare indicato dall’interessato, se tecnicamente possibile.

 

Raccomandazioni 

Il Gruppo “Articolo 29” ha pubblicato recentemente linee-guida specifiche dove sono illustrati e spiegati i requisiti e le caratteristiche del diritto alla portabilità con particolare riguardo ai diritti di terzi interessati i cui dati siano potenzialmente compresi fra quelli “relativi all’interessato” di cui quest’ultimo chiede la portabilità (versione italiana con le relative FAQ disponibile qui:  www.garanteprivacy.it/regolamentoue/portabilita).

 

Al riguardo, si ricordano i numerosi provvedimenti con cui l’Autorità ha indicato criteri per il bilanciamento fra i diritti e le libertà fondamentali di terzi e quelli degli interessati esercitanti i diritti di cui all’ art. 7 del Codice (si vedano, fra molti,  doc. web n. 3251012 e, con riguardo all’attività bancaria in generale,  doc. web n. 1457247).

 

Poiché la trasmissione dei dati da un titolare all’altro prevede che si utilizzino formati interoperabili, i titolari che ricadono nel campo di applicazione di questo diritto dovrebbero adottare sin da ora le misure necessarie a produrre i dati richiesti in un formato interoperabile secondo le indicazioni fornite nel considerando 68 e nelle linee-guida del Gruppo “Articolo 29”.

 

 

Fonte: Garanteprivacy

https://life81.it/wp-content/uploads/2019/03/Servizi-life81-bis.jpg 1325 1920 Life 81 https://life81.it/wp-content/uploads/2021/12/LOGO-life-81-1920x-1080-300x158.jpg Life 812019-10-30 11:03:082019-10-30 11:03:08Guida al GDPR: i diritti degli interessati

Quali pericoli si incontrano durante l’attività manutentiva?

Settembre 12, 2019/0 Commenti/in Prevenzione, Puntosicuro, Rischio /da Life 81

Fonte/Autore: Redazione  Puntosicuro
Categoria: Manutenzioni e verifiche periodiche

12/09/2019: L’Inail fornisce utili informazioni sulla sicurezza nella manutenzione. I pericoli fisici, ergonomici, chimici, biologici e psicosociali per i manutentori. Esempi di rischi specifici a cui sono soggetti i lavoratori durante le operazioni di manutenzione.

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Roma, 12 Set – Lo scopo delle attività di manutenzione è quello di mantenere e di preservare attrezzature, impianti e luoghi di lavoro in uno stato funzionale e il più possibile sicuro. E in questo senso la carenza di manutenzione o la presenza di manutenzioni inadeguate possono causare problemi sia per la sicurezza (infortuni) che per la salute.

 

Tuttavia benché una manutenzione regolare sia necessaria, bisogna evidenziare che anche la manutenzione è un’attività ad alto rischio. Ed infatti, come già riportato in altri articoli, “circa il 10-15% di tutti gli incidenti mortali e il 15-20% di tutti gli incidenti sul lavoro sono legati a operazioni di manutenzione”. E molte malattie professionali e “problemi di salute legati al lavoro (come l’asbestosi, il cancro, i problemi di udito e i disturbi muscoloscheletrici) sono anche più diffusi tra i lavoratori coinvolti nelle attività di manutenzione”.

 

Ad affermarlo e a raccontare nel dettaglio quali possano essere i pericoli che si incontrano durante l’attività manutentiva è il documento, prodotto dal Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici (DIT) dell’ Inail, dal titolo “ La manutenzione per la sicurezza sul lavoro e la sicurezza nella manutenzione” e a cura di Giovanni Luca Amicucci, Maria Teresa Settino e Fabio Pera (DIT, Inail).

 

Gli argomenti trattati nell’articolo:

  • La manutenzione e i pericoli fisici ed ergonomici
  • I pericoli chimici, biologici e psicosociali
  • Rischi specifici delle attività di manutenzione

La manutenzione e i pericoli fisici ed ergonomici

Come abbiamo detto la manutenzione – un termine generico che può denominare attività molto diverse: ispezione, collaudo, misurazione, regolazione, riparazione, rilevamento guasti, sostituzione di parti, lubrificazione, pulizia… – è un’attività ad alto rischio e “deve essere eseguita in modo sicuro, con un’adeguata protezione, sia per gli addetti alla manutenzione che per le altre persone eventualmente presenti sul posto di lavoro”.

Per la varietà delle attività di manutenzione e dei lavoratori coinvolti (“lavoratori di tipo diverso: lavoratori edili, meccanici, elettricisti, ingegneri”, impiegati, …), anche i rischi a cui sono esposti i manutentori possono essere molto diversi.

 

Il documento si sofferma su alcuni pericoli più diffusi, a partire dai pericoli fisici:

  • gli addetti alla manutenzione “potrebbero essere esposti a rumore eccessivo durante il lavoro”. Il rumore “può essere causato da macchinari, attrezzature o veicoli. Ciò è particolarmente vero per coloro che sono coinvolti nella manutenzione di strade, gallerie, ponti, ferrovie, aerei, automobili, macchinari.
  • I lavoratori che svolgono attività di manutenzione potrebbero anche essere esposti a vibrazioni.
  • I manutentori in alcune industrie potrebbero essere esposti a condizioni ambientali scomode o estreme. Potrebbero essere esposti a temperature alte o basse, a umidità eccessiva, a scarsa ventilazione, a radiazioni UV, a fonti di calore radiante. I saldatori ad arco, ad esempio, sono esposti alla luce ultravioletta e visibile dell’arco elettrico, oltre che a fumi metallici”.

 

Gli autori si soffermano poi sui pericoli ergonomici ricordando che a volte il lavoro di manutenzione “richiede il sollevamento di carichi pesanti come parti di macchine, utensili e attrezzature”. E spesso le condizioni per questa attività non sono ideali: “le parti potrebbero non essere facilmente raggiungibili, l’ampiezza dell’accesso potrebbe essere ridotta o lo spazio per gli spostamenti potrebbe non essere sufficiente, i pavimenti potrebbero essere scivolosi o potrebbero esserci cavi, e alcuni lavori potrebbero dover essere eseguiti sotto l’altezza del ginocchio o sopra l’altezza delle spalle”.

Oltre a queste problematiche correlate al sollevamento dei carichi:

  • “I lavoratori che svolgono attività di manutenzione potrebbero essere esposti a movimenti ripetitivi quando non sono disponibili utensili elettrici (come nel caso di smontaggio manuale di molte viti) o gli strumenti a portata di non sono adeguati.
  • A volte i lavoratori potrebbero dover sorreggere strumenti o parti dell’installazione su cui stanno lavorando di peso non eccessivo, ma per un tempo sufficiente affinché il carico di lavoro statico sia in grado di procurare affaticamento muscolare locale.
  • Inoltre, gli operatori potrebbero doversi confrontare spesso con situazioni in cui è necessaria la forza per manipolare o sollevare parti di macchine, impianti e attrezzature”.

 

I pericoli chimici, biologici e psicosociali

Il documento si sofferma poi sui pericoli chimici, biologici e psicosociali.

 

Riguardo ai pericoli chimici si segnala che in alcuni settori, come l’industria chimica, l’edilizia e l’agricoltura, o in determinati lavori, “gli addetti alla manutenzione potrebbero essere esposti a rischi chimici. Sostanze chimiche potrebbero essere rilasciate nell’ambiente di lavoro dall’attività svolta e il lavoratore potrebbe entrare in contatto con esse (ad esempio: durante i lavori di manutenzione di edifici, strade, infrastrutture, piscine o macchinari, durante saldatura ad arco, durante lavori di manutenzione in officine, impianti di trattamento dei rifiuti, installazioni industriali dove sono presenti sostanze chimiche pericolose)”.

Altri elementi di cui tener conto riguardo a questa tipologia di rischi:

  • “Operazioni di manutenzione specifiche potrebbero comportare rischi associati alle fibre di amianto (le operazioni durante le quali i lavoratori potrebbero essere esposti all’amianto includono la demolizione di edifici, la rimozione di amianto negli edifici, la demolizione delle navi e la manutenzione di installazioni industriali e edifici in cui l’amianto è presente nella struttura).
  • L’esposizione a rischi chimici o amianto porta a problemi di salute diversi e talvolta gravi quali: asbestosi, malattie della pelle e malattie respiratorie”.

 

Si accenna brevemente poi ai settori in cui i manutentori possono essere esposti a pericoli biologici. I settori includono, ad esempio, “la produzione alimentare, l’agricoltura, l’assistenza sanitaria, la pratica veterinaria, il trattamento delle acque reflue e il trattamento dei rifiuti solidi”.

 

Veniamo infine ai pericoli psicosociali.

Si indica che gli addetti alla manutenzione “potrebbero sperimentare stress dovuto all’attività manutentiva”.

E tale stress lavoro-correlato potrebbe essere causato “da una qualsiasi combinazione dei seguenti fattori:

  • Pressione temporale: durante i lavori di manutenzione, la produttività di un’organizzazione è spesso rallentata o sospesa e gli addetti alla manutenzione devono far fronte non solo al compito in corso, ma anche al senso di responsabilità per la necessità di riattivare quanto prima la produzione, riducendo il tempo di attesa degli altri lavoratori. Tale problema si aggrava quando le riduzioni di personale portano ad una diminuzione del numero di manutentori disponibili per far fronte alle emergenze.
  • Tecnologia complessa combinata con situazioni non di routine.
  • Problemi di comunicazione (ad esempio nei lavori con appaltatori o con diversi appaltatori nello stesso sito).
  • Lavori solitari e in isolamento.
  • Orari di lavoro irregolari (turni, lavoro durante il fine settimana, lavoro notturno o servizio a chiamata).
  • Conoscenze insufficienti (scarsa familiarità del lay-out dell’edificio, delle attrezzature che devono essere utilizzate, o delle attrezzature su cui si deve effettuare il lavoro di manutenzione).
  • Formazione insufficiente (scarsa conoscenza della modalità di esecuzione di determinate attività manutentive).

 

Rischi specifici delle attività di manutenzione

In conclusione il documento sottolinea che, oltre ai normali rischi associati a qualsiasi ambiente di lavoro, spesso durante le operazioni di manutenzione i lavoratori sono esposti ad alcuni rischi specifici.

 

Sono riportati alcuni esempi

  • “Ad esempio, quando si effettua manutenzione su di un macchinario che fa parte di una catena di produzione, può capitare, mentre è in corso l’esecuzione di un processo, di dover operare in stretto contatto con organi in movimento o parti sotto tensione. Durante il normale funzionamento dei macchinari sono il sistema automatico di sicurezza e le misure di protezione che riducono solitamente la probabilità di un errore umano che possa portare a incidenti. Tuttavia, nelle condizioni in cui si trovano ad operare i lavoratori che eseguono la manutenzione, la probabilità che possa aversi un contatto diretto tra il lavoratore e gli organi in movimento o le parti sotto tensione non può essere ridotta più di tanto.
  • La manutenzione spesso comporta un lavoro insolito o attività non di routine e viene spesso eseguita in condizioni eccezionali, ad esempio lavorando in spazi ristretti.
  • Le operazioni di manutenzione potrebbero riguardare lo smontaggio e il rimontaggio, di attrezzature complesse: in situazioni simili il rischio di errore umano cresce e aumenta il pericolo di incidenti.
  • In caso di appalti per l’esecuzione di lavori di manutenzione, i lavoratori inviati ad eseguire interventi presso le società appaltanti si trovano spesso a dover cambiare attività lavorativa e ambiente di lavoro, e ciò ha come risultato un incremento del rischio di commettere errori che possano dar luogo ad incidenti. Inoltre, gli appalti multipli e i subappalti sono fattori aggravanti in termini di sicurezza e salute, infatti numerosi incidenti riguardano attività di manutenzione in appalto multiplo o subappalto.
  • In alcune realtà produttive i tempi per l’esecuzione della manutenzione devono essere necessariamente ridotti, in particolare quando sono coinvolti rallentamenti o arresti della produzione: in casi simili, le riparazioni ed il ripristino della produzione divengono attività ad alta priorità, ed i lavoratori si trovano a dover operare sotto la pressione del tempo”.
https://life81.it/wp-content/uploads/2019/05/primo-ingresso-cantiere-formazione.jpg 1279 1920 Life 81 https://life81.it/wp-content/uploads/2021/12/LOGO-life-81-1920x-1080-300x158.jpg Life 812019-09-12 16:23:292019-09-12 16:25:17Quali pericoli si incontrano durante l’attività manutentiva?

Valutazione dei rischi: che approccio metodologico utilizzare?

Maggio 7, 2019/0 Commenti/in Prevenzione, Puntosicuro, Rischio /da Life 81
Autore: Redazione
Categoria: Valutazione dei rischi

07/05/2019: Il processo di valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro. Focus sugli obiettivi della valutazione e sugli operatori da coinvolgere. L’approccio metodologico: dall’identificazione dei pericoli alla valutazione del rischio residuo.

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Viareggio, 7 Mag – Quando può essere necessario fare una valutazione dei rischi? Quale può essere un approccio metodologico corretto? Come affrontare la riduzione del rischio?

 

Ancora oggi, benché la valutazione sia un momento rilevante di ogni strategia di prevenzione di infortuni e malattie professionali, è bene ricordare alcuni punti di fermi del processo di valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro, al di là dei mutamenti normativi avvenuti in questi ultimi anni (ad esempio riguardo ai termini, scaduti nel 2013, per l’ autocertificazione   nelle piccole aziende fino a 10 lavoratori).

 

Proprio per riportare qualche utile indicazione per le aziende, riprendiamo la presentazione del documento “La valutazione del rischio”, a cura di Maria Rosaria Libone (Azienda USL 12 Viareggio, ora Azienda USL Toscana Nord Ovest), un documento che fornisce varie informazioni introduttive al processo di identificazione, valutazione e riduzione dei rischi.

 

Ci soffermeremo su:

  • La riduzione del rischio
  • Gli obiettivi della valutazione dei rischi
  • L’approccio metodologico per la valutazione
  • La riduzione e valutazione del rischio finale

La riduzione del rischio

Nel documento si segnala che la riduzione del rischio può avvenire mediante adozione di:

  • misure di prevenzione, dove la prevenzione è il “complesso delle misure e delle disposizioni volte ad annullare o ridurre la frequenza di accadimento di eventi dannosi (può essere individuale o collettiva)”;
  • misure di protezione, dove la protezione è il “complesso delle misure e delle disposizioni volte a ridurre la magnitudo di un evento dannoso (può essere individuale o collettiva)”.

 

Si può poi avere:

  • prevenzione primaria: eliminare o ridurre i rischi alla fonte
  • prevenzione secondaria: contenere i rischi intervenendo sulle vie di propagazione o sull’ambiente (collettive)
  • prevenzione terziaria: contenere i rischi intervenendo sulla persona esposta.

 

Gli obiettivi della valutazione dei rischi

Dopo aver ricordato l’obbligatorietà della valutazione in tutti i luoghi di lavoro dove vi sia almeno un lavoratore, Maria Rosaria Libone chiarisce quando è necessario fare la valutazione dei rischi e i suoi obiettivi.

 

Questi gli obiettivi della valutazione dei rischi:

  • “Identificare nel modo più completo fonti di rischio
  • Eliminarne alcune
  • Valutare rischio residuo
  • Attuare misure correttive per eliminare o ridurre il rischio
  • Stabilire priorità delle azioni
  • Dimostrare a organi di controllo e lavoratori che le misure attuate sono sufficienti a salvaguardare integrità lavoratori”.

E al processo di valutazione deve concorrere:

  • “Il datore di lavoro che deve, comunque, dare l’avvallo
  • Linea aziendale rappresentata da dirigenti e preposti (depositari di conoscenze e titolari di obblighi);
  • Personale con competenze tecniche specialistiche (eventualmente per settore) coinvolgendo le funzioni tecniche della azienda (come supporto);
  • Servizio di prevenzione (RSPP, MC);
  • RLS (punto di riferimento e collettore di conoscenze dei lavoratori)”.

 

L’approccio metodologico per la valutazione

Dopo aver parlato di analisi dei rischi e di pianificazione della valutazione, nel documento viene anche presentato un approccio metodologico che viene riassunto in una slide:

 

 

Si ricorda che il processo gestionale di valutazione del rischio può essere suddiviso in varie fasi:

  • “pianificazione della valutazione in collaborazione con il personale;
  • identificazione dei rischi;
  • individuazione delle persone a rischio, delle possibili situazioni di rischio e dei luoghi;
  • valutazione del livello di rischio e decisione in merito all’adozione di misure preventive;
  • adozione di misure preventive volte all’eliminazione o alla riduzione dei rischi;
  • controllo e adeguamento delle misure adottate”.

 

E per identificare i rischi:

  • “Esaminare l’attività svolta
  • Esaminare le macchine, i materiali, le attrezzature e le sostanze chimiche utilizzate
  • Valutare le condizioni di lavoro quanto a tutte le situazioni potenzialmente pericolose, tenendo conto che anche i visitatori possono essere vittime degli stessi rischi che minacciano il personale”.

Questi i “possibili approcci all’identificazione dei rischi:

  • “Esame per aree logistiche (es. officina meccanica, falegnameria, magazzino, uffici…);
  • Esame per genere di rischio (es. meccanico, fisico, chimico, biologico, organizzativo);
  • Esame in base alle funzioni del personale (es. operativo, amministrativo,…);
  • Esame in base all’organizzazione aziendale (es. turni, pianificazione del lavoro);
  • Analisi degli incidenti verificatisi in passato (es. consultazione registro infortuni, audit…) per identificare i problemi;
  • Indagine tra il personale e le persone interessate”.

 

Dopo aver individuato le persone a rischio (“considerare tutti coloro che possono essere vittime di incidenti. Non solo il personale fisso, ma anche il personale a contratto, i dipendenti di cooperative, i visitatori) è necessario “valutare il livello del rischio:

  • Valutare le probabilità che il rischio sfoci in incidente reale e la gravità dei danni potenziali.
  • Esaminare le misure attualmente in atto e la loro adeguatezza”.

E riguardo all’individuazione di rischi bisogna chiedersi:

  • “È possibile rimuovere completamente la causa del pericolo?
  • È possibile ridurre o controllare il pericolo (es. sostituendo taluni elementi con altri meno pericolosi)?
  • È possibile prendere misure per proteggere tutto il personale interessato?
  • Sono necessarie attrezzature protettive per il personale quando le misure collettive non garantiscono una tutela sufficiente?”.

 

Rimandiamo alla lettura integrale del documento che riporta indicazioni anche sulla consultazione del personale e che ricorda quanto sia importante la decisione sull’intervento che “prevede di stabilire prima quale sia il livello di rischio accettabile in base al quale verranno giudicati prioritari gli interventi da attuare”.

 

La riduzione e valutazione del rischio finale

Riguardo alla parte seconda del procedimento indicato nell’approccio metodologico, si riportano indicazioni riguardo alla modalità di adottare misure:

  • “Dopo avere svolto la valutazione dei rischi, elencare le misure necessarie in ordine di priorità, quindi passare all’azione coinvolgendo nel processo i lavoratori ed i loro rappresentanti.
  • Affrontare i problemi alla radice è il metodo economicamente più efficace ai fini della gestione del rischio.
  • Gli interventi dovrebbero essere concordati con il personale o l’amministrazione tenuta alla fornitura e manutenzione degli immobili
  • Le soluzioni elaborate vanno attuate, monitorate e valutate con cura
  • Le informazioni desunte dall’indagine sulla valutazione del rischio devono essere condivise con le persone competenti”.

 

Riguardo poi al controllo e riesame si indica che:

  • “La valutazione dell’efficacia delle misure di controllo garantisce che i rischi sono stati adeguatamente ridotti, senza tuttavia creare nuove fonti di pericolo.
  • Quando avviene un cambiamento, assicurarsi che non ci siano nuovi pericoli da prendere in considerazione.
  • Ripetere la valutazione del rischio se necessario.
  • È importante eseguire una valutazione per individuare gli aspetti degli interventi attuati con successo o meno, per elaborare un sistema ottimale adatto”.

 

Si ricorda poi che possono essere necessarie specifiche valutazioni del rischio:

  • “Determinate mansioni lavorative possono creare rischi diversi che richiedono specifiche valutazioni.
  • La valutazione del rischio e la sua gestione non devono trascurare i pericoli per la salute e la sicurezza a cui sono esposti gruppi specifici del personale (es. …, personale esterno che deve eseguire lavori in appalto presso l’azienda)”.
https://life81.it/wp-content/uploads/2019/04/lifesaver-310250_640_edited.jpg 640 640 Life 81 https://life81.it/wp-content/uploads/2021/12/LOGO-life-81-1920x-1080-300x158.jpg Life 812019-05-07 09:47:372019-05-07 09:47:37Valutazione dei rischi: che approccio metodologico utilizzare?

Pillole di sicurezza: danno, rischio e pericolo

Marzo 7, 2019/0 Commenti/in Puntosicuro, Rischio /da Life 81
Fonte: Puntosicuro
Autore: Federica Gozzini
Categoria: Valutazione dei rischi

07/03/2019: Il rischio è un concetto probabilistico, è la probabilità che accada un certo evento capace di causare un danno alle persone.

 

Danno

• Qualunque conseguenza negativa derivante dal verificarsi dell’evento (UNI 11230 – Gestione del rischio)

•Lesione fisica o danno alla salute (UNI EN ISO 12100-1)

•Gravità delle conseguenze che si verificano al concretizzarsi del pericolo

 

Pericolo

Definizione di Pericolo art. 2, lettera r, D.Lgs. 81/08: Proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danno

 

Il pericolo è una proprietà intrinseca (della situazione, oggetto, sostanza, ecc.) non legata a fattori esterni; è una situazione, oggetto, sostanza, etc. che per le sue proprietà o caratteristiche ha la capacità di causare un danno alle persone

 

Rischio

Definizione di Rischio art. 2, lettera s, D.Lgs. 81/08: Probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione

 

Il rischio è un concetto probabilistico, è la probabilità che accada un certo evento capace di causare un danno alle persone. La nozione di rischio implica l’esistenza di una sorgente di pericolo e delle possibilità che essa si trasformi in un danno

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Un piano di caricamento va protetto contro il rischio di caduta dall’alto

Febbraio 25, 2019/0 Commenti/in Legislazione Sicurezza, Puntosicuro, Rischio, Salute e Sicurezza /da Life 81

Fonte: Puntosicuro

Autore: Gerardo Porreca

La protezione contro il rischio di caduta dall’alto da un piano di caricamento sopraelevato, che non è stata imposta dal legislatore con il D. Lgs. n. 81/2008 contenente le disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro, è l’oggetto di questa sentenza della Corte di Cassazione chiamata a esprimersi su di un ricorso presentato da un datore di lavoro con riferimento a un infortunio occorso a un suo lavoratore dipendente infortunatosi per essere appunto caduto da un piano di caricamento. La suprema Corte ha trovato l’occasione per precisare cosa sia da intendersi per piano di caricamento e di mettere in evidenza la differenza che sussiste fra piano di caricamento e piano di lavoro ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i..

 

Condannato un datore di lavoro nei primi due gradi di giudizio per il reato di lesioni colpose a danno del lavoratore aggravate alla violazione delle norme antinfortunistiche sulla sicurezza dei posti di lavoro e sul ricorso lo stesso ha presentato un ricorso nel quale ha messo in evidenza l’esonero concesso dal legislatore dalla installazione di dispositivi di protezione collettiva contro la caduta dall’alto per tali tipi di piani. La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha precisato che un piano di caricamento di altezza inferiore ai 2 metri può pure non essere protetto dal rischio di caduta dall’alto ma solo se viene utilizzato esclusivamente per le operazioni di carico e scarico e non come nel caso in esame per altri tipi di operazioni e lavorazioni per il quale i giudici di merito hanno ritenuto applicabili altre norme di protezione pure previste dal dallo stesso D. Lgs. n. 81/2008 anche se non contestate all’imputato e non rientranti nel capo di imputazione.

 

La Corte di Cassazione, altresì, in merito alla lamentela avanzata dall’imputato per la violazione non richiamata nell’imputazione, ha sottolineato che in tema di reati colposi non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa.

 

Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso per cassazione

La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale, riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche, ha rideterminata la pena inflitta dal Tribunale a un datore di lavoro e legale rappresentante di una società in due mesi di reclusione confermando nel resto la sentenza con la quale allo stesso era stata riconosciuta la penale responsabilità per il reato di lesioni personali colpose aggravate dalla violazione delle norme antinfortunistiche (art. 590 comma 2 in relazione all’art. 63 comma 1 e 64 comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008 in riferimento all’allegato IV punto 1.7.3.) in danno di un dipendente della società stessa.

 

Avverso tale provvedimento l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, adducendo alcune motivazioni. Con un primo motivo si è lamentato per una erronea applicazione della legge penale in punto di affermazione di responsabilità evidenziando che erroneamente nei due primi gradi di giudizio gli era stata contestata come nesso causale per il reato di cui all’art 590 cod. pen. una violazione degli art. 63 e 64 del D. Lgs. n. 81/2008, in riferimento all’allegato 4 punto 1.73.3. per non avere dotato di parapetto o altre difese equivalenti il luogo di lavoro in cui si trovava ad operare il lavoratore al momento dell’infortunio.

 

L’infortunio, ha precisato l’imputato nel ricorso, era avvenuto su di un piano di caricamento costruito appositamente in posizione sopraelevata al fine di permettere a un camion di scaricare agevolmente delle merci dal pianale con i mezzi meccanici (muletti o transpallets manuali). Il lavoratore in particolare si trovava all’interno di tale piano allorquando inciampando è finito sul bordo dello stesso ed è caduto nel livello inferiore riportando le lesioni di cui al procedimento. Il ricorrente ha contestata la sentenza di condanna in quanto, secondo lo stesso, il piano sopraelevato dal quale è caduto il lavoratore non era un piano di lavoro in quanto esso, per stessa ammissione degli organi di vigilanza intervenuti, era stato funzionalmente costruito per il carico e lo scarico delle merci all’interno del magazzino ed era destinato funzionalmente a quella tipologia di lavoro.

 

Ha ricordato l’imputato nel ricorso che gli articoli 63 e 64 del D. Lgs. n. 81/2008 si riferiscono ai luoghi di lavoro mentre la norma sulla quale si sarebbe dovuto accentrare correttamente l’attenzione è quella di cui all’allegato IV punto 1.7.3. secondo la quale “Le impalcature, le passerelle, i ripiani, le rampe di accesso, i balconi ed i posti di lavoro o di passaggio sopraelevati devono essere provvisti su tutti lati aperti, di parapetti normali con arresto al piede o di difesa equivalenti. Tale protezione non è richiesta per i piani di caricamento di altezza inferiore a m. 2,00” ragion per cui sarebbe caduta in errore la Corte di Appello laddove ha classificato il luogo da cui è caduto il lavoratore infortunato come posto di lavoro sulla semplice asserzione che in quel luogo lo stesso stava facendo un lavoro diverso dal caricamento. Se così fosse e cioè se il piano di caricamento fosse un piano di lavoro, ha sostenuto il ricorrente, anche gli interni dei rimorchi dei camion potrebbero essere definiti luoghi di lavoro e dovrebbero pertanto essere dotati di parapetti contro le cadute dall’alto i quali invece impedirebbero di utilizzare i mezzi secondo la loro destinazione naturale. Nella istruttoria dibattimentale, ha quindi messo in evidenza il ricorrente, era stato provato che sul piano sopraelevato venivano caricate le merci e che pertanto quello, indipendentemente dalle operazioni sullo stesso effettuate dal lavoratore, era un piano di caricamento per necessità di utilizzo privo di parapetti cosi come stabilito dal punto 1.7.3. dell’allegato IV del D. Lgs. n. 81/2008.

 

Come secondo motivo di riscorso l’imputato ha evidenziato che la sentenza di appello lo avrebbe condannato per il reato di lesioni colpose ritenendolo responsabile della violazione di altro profilo di colpa specifica mai contestatogli e non riconducibile ai profili di colpa specifica ex art 63 e 64 del D.lgs. n. 81/2008. La Corte territoriale infatti, pur confermando che il piano su cui stazionava il lavoratore era senza dubbio un piano di caricamento, gli ha imputato un profilo di colpa specifico diverso rispetto a quello richiamato nel capo di imputazione, essendo stato tale piano adibito anche ad altre operazioni. Secondo la Corte di appello, infatti, il datore di lavoro non sarebbe incorso nella violazione delle norme contravvenzionali richiamate nel capo di imputazione ma avrebbe violato le regole imposte dall’art 18 del D. Lgs. n. 81/2008. Tale ultima violazione, si legge in ricorso, non è mai stata contestata all’odierno ricorrente, il quale correttamente nei precedenti gradi di giudizio si è difeso ravvisando che quel piano era un piano di caricamento e che come tale non poteva essere dotato di parapetti come esplicitamente previsto dalla norma. Alla luce di quanto sopra detto il ricorrente ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibili i motivi proposti nel ricorso in quanto il ricorrente si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata. E’ ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza della suprema Corte, ha sostenuto la Sez. IV, come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. Comunque logica e congrua ha ritenuta la Cassazione la motivazione della condanna avanzata dalla Corte territoriale e pertanto immune da vizi di legittimità.

 

Con riferimento alla dinamica dell’accaduto offerta dalla parte offesa e non contestata dalla difesa, la Corte di Cassazione ha messo in evidenza che, secondo quanto emerso, il lavoratore, quando sul piano di caricamento è inciampato nel coperchio di una cassa ed è caduto al di sotto, era intento a compiere operazione di imballaggio di merce per cui stava compiendo una operazione lavorativa diversa da quella del semplice carico o scarico ma semmai preliminare alla stessa. Dalla testimonianza resa da un operatore della ASL, inoltre, era emerso che il piano era utilizzato per compiere altre operazioni, in quanto su di esso erano stati trovati dei macchinari, oltre ad essere utilizzato normalmente come passaggio per accedere agli uffici posti al suo margine.

 

Logica è stata considerata quindi dalla Corte di Cassazione la conclusione alla quale era pervenuta quella territoriale allorquando ha constatato che il piano di caricamento in esame fosse anche un luogo di lavoro e come tale non era dotato di protezioni atte a contrastare il pericolo di caduta e ha sostenuto che la difficoltà di porre transenne atte a tale scopo avrebbe dovuto indurre il datore di lavoro ad organizzare le operazioni di imballaggio in luoghi appropriati. Né il richiamo fatto dalla Corte di Appello ai più generici doveri in capo al datore di lavoro di cui all’art. 18 del D. Lgs. n. 81/2008 ha portato, come ha lamentato il ricorrente, ad una modifica sostanziale dell’editto accusatorio.

 

Non va trascurato, in proposito, ha così concluso la Corte suprema, che dalla stessa è stato più volte sottolineato come in tema di reati colposi non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa, citando a supporto altre sentenze della Cassazione che sono pervenute alle stesse conclusioni quali la sentenza Sez. IV 4 n. 51516 del 21/6/2013 (Miniscalco ed altro, Rv. 257902), la sentenza Sez. IV n. 35943 del 07/03/2014 (Denaro ed altro, Rv. 260161) e la sentenza Sez. IV n. 18390 del 15/2/2018 (Di Landa, Rv. 273265).

 

Essendo quindi il ricorso inammissibile la suprema Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 2.000 euro in favore della cassa delle ammende.

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